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Mobili Ducrot, il Liberty siciliano

La storia del nostro paese all’inizio del novecento è davvero molto interessante; nel nostro lavoro può capitare di fare scoperte annodando indizi che fanno apparire una trama fitta di vicende artistiche e economiche.

Restaurando un settimanale liberty che trovate in vendita nel nostro shop, abbiamo scoperto una storia appassionante che vogliamo raccontarvi perché dice molto sul talento imprenditoriale italiano e perché è legata alla celebre saga della famiglia Florio, resa celebre da Stefania Auci con i suoi due romanzi bestsellers I leoni di Sicilia e L’inverno dei leoni

Molti di voi avranno letto i due romanzi che dal 2019 sono stati in cima alle classifiche italiane, e si saranno imbattuti nella figura di Vittorio Ducrot, imprenditore di spicco nella Palermo di inizio secolo scorso nonché mobiliere a cui dobbiamo far risalire la realizzazione del nostro delizioso settimanale liberty.

La storia comincia nel 1902, quando Vittorio Ducrot rileva a Palermo il piccolo mobilificio del patrigno, trasformandolo in un prestigioso atelier artigianale noto come “Studio Ducrot”. Lo Studio diventa una società di produzione industriale, tra le prime in Europa per la progettazione di massa di manufatti e arredi in stile modernista e liberty. 

A garantire il successo dell’azienda è soprattutto la grande compagnia di navigazione dei Florio, che consente di esportare a costi contenuti, e che diventa uno dei committenti principali della Ducrot per l’arredamento delle navi e delle proprie residenze. Questi incarichi permettono alla Ducrot di diventare una delle aziende di maggiore successo, anche rispetto ai concorrenti francesi. 

Nell’agosto 1906, “La Tribuna” di Roma scrive che “si è costituito in Sicilia, a Palermo, grazie principalmente a Ernesto Basile, a Vittorio Ducrot ed a Ettore De Maria, il più armonico, attivo, intelligente gruppo di artisti che, dall’architettura al mobilio, dalla pittura alla plastica, provvede al rinnovato decoro della casa italiana”.
Nel 1907, il successo artistico e commerciale della fabbrica palermitana viene sancito dalla quotazione in borsa a Milano.

 

La Ducrot realizza mobili per importanti istituzioni e per hotel di lusso in tutta Italia (dal Bristol di Genova all’Excelsior di Venezia) e all’estero, al Cairo, a Tunisi o persino in Brasile. Tra le innumerevoli realizzazioni, possiamo ricordare gli arredi del Villino Florio e del Grand hotel Villa Igiea (sempre della famiglia Florio), e quelli di palazzo di Montecitorio a Roma.

Durante il primo conflitto mondiale l’azienda produce biplani idrovolanti e cacciabombardieri per il governo italiano aprendo una filiale a Mondello, e comincia a realizzare arredi navali per la marina.

Come racconta Ettore Sessa (uno dei massimi conoscitori della storia della Ducrot), l’apice dell’azienda è intorno al 1925, quando le Officine alla Zisa vantano 2500 operai molto ben remunerati, tra cui intagliatori, falegnami, imballatori, trasportatori, tappezzieri, falegnami, ebanisti, ottonatori e un ufficio tecnico da cui passano i maggiori architetti del tempo, tra cui Ernesto Basile, Vincenzo Monaco e Margherita De Simone.

In quel periodo, l’epoca a cui risale il nostro cassettone liberty, la Ducrot ha sedi e negozi a Milano, Napoli, Roma oltre che, naturalmente a Palermo.

Tutto lo sforzo di Vittorio Ducrot, in linea con la migliore cultura modernista internazionale, è teso a cercare un equilibrio tra profitto e cultura, utilizzando tecniche produttive industriali unite alla rivalutazione di tradizioni artigianali e artistiche.

Ducrot coinvolge i migliori artisti siciliani e non, da Ettore De Maria Bergler a Michele Cortegiani, da Luigi Di Giovanni a Salvatore Gregorietti e Antonio Ugo, e negli anni successivi alla seconda guerra mondiale Galileo Chini, Alberto Burri, Mario Mafai e Giuseppe Capogrossi.

Dopo gli anni del boom economico arriva purtroppo una forte crisi economica dell’azienda che la porta alla sua definitiva chiusura nel 1973.

Allora, vi è piaciuta questa storia tutta italiana? Non pensate anche voi che potrebbe valere la pena riscoprirla e diffonderla tramite un bel film o un altro romanzo di successo?

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