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Brevi cenni per una storia soggettiva dei colori

Per deformazione professionale, i decoratori d’interni non si limitano a dire “verde”, ma aggiungono sempre informazioni sulle tonalità di ogni tinta, come salvia, oliva, o menta. Quando dicono “rosa”, si sentono in dovere di specificare se si tratta di terracotta, cipria o antico, se dicono grigio, devono chiarire se intendono grigio perla, fumo o antracite. 

Con i clienti, mi capita spesso di dover fare un distinguo tra bianco latte, bianco panna, e bianco burro, con i quali intendo tre diverse tonalità di bianco con una percentuale di giallo rispettivamente più grande.

Mettere tutti d’accordo sulla definizione delle nuances di una tinta può essere un’impresa. Uno degli strumenti che i decoratori usano per scegliere le tinte degli interni, è la mazzetta di colori Ral o Pantone che tutti conosciamo. Ma è un’esperienza abbastanza comune constatare che il campione di pittura che vediamo sullo schermo di un computer non corrisponde del tutto al colore segnalato su una latta di vernice del negozio di bricolage e ancor meno a quello dipinto sulla parete di casa. 

Per questo noi realizziamo personalmente i colori per decorare i mobili o le pareti dei nostri clienti, in modo da poterli modificare anche all’ultimo momento finché non siamo soddisfatte.

Facendo qualche ricerca per questo articolo, ho scoperto che il primo celebre tentativo di catalogare i colori risale al Seicento, quando l’artista olandese A. Boogert scrisse un volume di più di 800 pagine acquarellate e manoscritte contenenti campioni di colori e tutte le loro sfumature e tonalità possibili. Tutte le pagine di questo curioso libro si possono sfogliare su questo sito dove sono riprodotte in alta definizione.

Labò Home Decor - blog- Storia dei colori - Boogert

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Per quanto ci si sforzi di catalogare lo spettro dei colori, è evidente che la loro percezione è un fatto soggettivo; innanzi tutto perché è condizionata dalle caratteristiche fisiche e biologiche dell’occhio umano (basti pensare a quanto sia diffuso il fenomeno del daltonismo, di cui è affetto il 4,5 % della popolazione mondiale), ma anche perché ognuno di noi utilizza categorie culturali e linguistiche diverse per “vedere” e definire le tinte.

Pensiamo a come certe definizioni di colori siano evidenti in un contesto culturale e molto meno diffuse in altre. Per esempio oggi nessuno saprebbe definire a quale sfumatura di blu corrisponde il Blu Pompadour, un blu pallido e avvolgente molto in voga nel Settecento, scelto dalla marchesa per i suoi abiti più belli (come nel ritratto del pittore François-Hubert Drouais che potete vedere qui sotto).

Labò Home Decor - Blog - Storia dei colori - Marquise de Pompadour di François-Hubert Drouais.jpg

Se per esempio in italiano e in russo esistono parole diverse per definire il blu e l’azzurro, in inglese e in francese esiste solo una parola per indicare lo stesso colore declinato nelle sua varianti più chiare o più scure, il blu.

Prendiamo la distinzione dei colori tra caldi e freddi: oggi siamo tutti d’accordo nel dire che i colori verdi e azzurri sono freddi, mentre i rossi, gli arancioni e gialli sono caldi. Ma esistono prove che nel medioevo per esempio, si pensava che il blu fosse il colore più caldo di tutti.

Per raccontare una storia dei colori, potremmo partire dagli albori dell’umanità, con le immagini parietali ritrovate nelle grotte di Lascaut, o come le impronte di mani scoperte in Patagonia a Cuevas de Las Manos a risalenti circa a 15.000 anni fa.

Labò Home Decor - blog - storia dei colori - Argentina

Gli autori delle pitture rupestri avevano a disposizione una tavolozza molto ristretta, composta per lo più dalle tonalità dei marroni rossastri e ocra, ottenuti grazie alla terra o agli ossidi di ferro, del nero, ricavato dalla cenere del fuoco, e del bianco. Gli artisti preistorici usavano come leganti varie sostanze oleose o grasse che avevano funzione agglomerante, come l’albume dell’uovo, il grasso animale e persino il sangue.

Le varie civiltà antiche che si sono succedute, da quella egizia a quella micenea, elaborarono forme d’arte molto complesse e capolavori pittorici coloratissimi, ogni volta attribuendo ai colori diversi significati e simbologie.

A lungo si è pensato che le statue e i templi greci e romani dovessero essere rigorosamente bianchi, ma è stato dimostrato attraverso analisi a raggi ultravioletti e infrarossi come queste fossero sempre policrome, e che solo a causa del tempo siano giunte fino a noi prive dei pigmenti colorati che le decoravano.

L’idea diffusa che le opere d’arte greca e romana fossero in pietra bianca, è il frutto di un pregiudizio storico: l’Europa, sopratutto quella illuminista di Winckelmann, aveva dell’antichità classica una concezione molto idealizzata.

Alleghiamo alcune immagini di celebri sculture classiche per le quali è stata ricostruita l’originale policromia. Questo doveva essere originalmente l’arciere (detto Paride) del tempio di Aphaia a Egina (V secolo a.C.), secondo una ricostruzione fatta già a inizio ‘900 da Adolf Furtwӓngler.

Labò Home Decor - Blog - Storia dei colori - Arciere del tempio di Afaia a Egina

Un altro celebre esempio è quello del leone di Loutraki della Gliptoteca Ny Carlsberg di Copenaghen. La ricostruzione a colori mostra oltre al giallo del peli, il blu della criniera e il rosso delle vibrisse intorno agli occhi dell’animale.

Labò Home Decor - blog - Storia dei colori - Leone di Loutraki

Sulle tecniche e sui colori usati nella pittura parietale romana abbiamo informazioni precise di Vitruvio e, soprattutto, di Plinio. Quest’ultimo suddivide i colori in colores floridi e colores austeri. I primi sono quelli che noi chiameremmo colori trasparenti e i secondi colori a corpo. Data la loro preziosità, i colores floridi (minium, armenium, cinnabaris, chrysocolla, indicum e pupussirum) dovevano essere forniti dal committente. Di questi, il minio e il cinabro erano adoperati per ottenere il rosso pompeiano (largamente utilizzato, come nei famosi affreschi della Villa dei Misteri).

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colores austeri venivano suddivisi in due ulteriori categorie: quelli che si trovano in natura e quelli che si ottengono con una speciale preparazione. Si trovano in natura: sinopis (terra rossa), rubrica (ocra bruciata), paraetonium (bianco, carbonato di calce), melinum (terra bianca), eretria, auripigmentum (giallo). Altre varietà di bianco erano la cerussa (biacca) e la selinusia.

Nel Medioevo la tavolozza degli artisti si arricchì di colori ancora più brillanti. Sebbene i secoli medievali siano comunemente considerati “bui”, questa epoca si è espressa nell’arte soprattutto attraverso la luce e il colore; basti pensare alla profusione dell’oro (qui sotto un dettaglio della meravigliosa Annunciazione di Simone Martini), largamente usato per decorare le cornici in legno delle pale d’altare, i mosaici delle chiese e le miniature dei codici manoscritti. 

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La tavolozza dell’artista medievale era caratterizzata da sei colori principali, quali il bianco, il rosso, il giallo, il blu, il verde e il nero; miscelando i diversi pigmenti si potevano ottenere nuove tonalità. Ma tendenzialmente, i colori erano impiegati saturi e le tinte erano molto contrastate.

I colori si ottenevano estraendo materie dalle piante (lo zafferano si usava per la lacca gialla), o da lacche animali (la cocciniglia era utilizzata per il rosso) oppure sminuzzando pietre (come il lapislazzuli o l’azzurrite per ottenere il blu), oppure utilizzavano elementi come lo stagno o il silicio (per il giallo), la calce o il piombo (per il bianco).

Ognuno dei colori principali aveva un preciso significato simbolico.

Nell’arte medievale, il bianco veniva impiegato per simboleggiare l’innocenza e la purezza. Assieme al nero, il bianco era associato ad una “assenza di colore”, e quindi al lutto. Il colore giallo aveva solitamente una connotazione negativa: con questa tonalità venivano realizzate le vesti degli ebrei, dei musulmani e dei traditori (si pensi al mantello di Giuda nella“Cattura di Cristo” di Giotto).

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Il verde invece veniva impiegato per contrassegnare i matti e i giullari, oppure i demoni, ma in altri casi stava ad indicare la fecondità come nel famoso ritratto muliebre dei coniugi Arnolfini di Jan Van Eyck. Vesti verdi erano anche una caratteristica di mercanti e banchieri.

Labò Home Decor - Blog - Storia dei colori - Ritratto dei coniugi Arnolfini

Tutt’altra valenza aveva il rosso: associato al sangue, al fuoco e alla passione, era anche uno dei colori più indossati dai nobili e il re era solito ammantarsi di porpora, ovvero di un rosso violaceo. Un altro colore che contrassegnava la nobiltà era il colore blu. Simbolo di spiritualità, trascendenza e giustizia, si ritrova immancabilmente sul manto della Madonna. 

Oltre ad essere sottoposta a rigide sovrastrutture simboliche, la libertà espressiva degli artisti medievali era limitata per così dire anche da innumerevoli difficoltà tecniche e chimiche. Dato che alcuni colori reagivano chimicamente con altri con cui venivano in contatto, gli artisti dovevano pianificare le loro opere con cura e evitare la sovrapposizione potenzialmente disastrosa di alcune aree pittoriche. 

E’ evidente che nei secoli la storia dell’arte sia stata condizionata anche dalle caratteristiche fisiche dei colori, dalla loro instabilità chimica che fa sì che oggi molte opere appaiano offuscate nel loro splendore o irrimediabilmente compromesse (basti pensare all’Ultima Cena di Leonardo da Vinci).

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Per esempio una vera svolta tecnica, e di conseguenza un enorme balzo stilistico, si ebbe nell’Ottocento quando la rivoluzione industriale e lo sviluppo dell’industria chimica permisero la diffusione di pigmenti commerciali, economici, già pronti e affidabili. Verso la metà del secolo si diffusero i colori nei tubetti di stagno, senza i quali sarebbe impossibile concepire la pittura en plein air, l’infatuazione degli impressionisti per la luce e il colore, e insomma la nascita dell’arte moderna. 

Si pensi infine che tra gli osteggiatori del colore e i puristi della forma va annoverato anche Le Corbusier, il quale in un saggio del 1920 dal titolo Purismo, scrisse parole molto severe contro Cézanne, che “ha accettato l’offerta di un venditore di colore senza ponderarla prima, in un periodo caratterizzato da una smania per la chimica dei colori, una scienza che non ha alcun effetto possibile sulla grande pittura. Lasciamo ai tintori di stoffe l’esaltazione sensoriale data dal tubetto di pittura”.

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Se questi cenni storici vi sono sembrati interessanti, continueremo a occuparcene su questo blog, parlandovi nel dettaglio di un colore alla volta, di quando è stato in voga nella storia recente dell’interior design, della moda e dell’arte, dei suoi significati nascosti, dei personaggi che lo hanno reso celebre, della composizione chimica ecc…

Qual’è il vostro colore preferito?

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